Qual è la prima cosa che notate, quando andate a fare la spesa e vi trovate davanti agli scaffali che contengono la pasta?
Fate parte dei consumatori più attenti, che prima di scegliere un articolo leggono con attenzione le etichette? Controllate la scadenza del prodotto così da poterlo tenere per più tempo in dispensa? Verificate tutte le offerte confrontando tra la merce esposta, facendo attenzione alle caratteristiche che la differenziano, incluso il prezzo, e che la confezione scelta sia integra?
Se questo è il vostro modo di fare, potete sicuramente essere considerati dei clienti consapevoli e responsabili.
Ma purtroppo, adottare un comportamento virtuoso, non sempre basta a tutelare la propria salute e quella dei propri cari.
In numerosi sondaggi, condotti fino ad ora dalla International Food Information Council Foundation, una percentuale molto alta di intervistati, dichiara che il gusto è ciò che principalmente li spinge all’acquisto di un prodotto.
Quindi, siamo ben lontani dall’aver raggiunto un grado di consapevolezza tale, che dovrebbe portare il consumatore a valutare in modo più cosciente i prodotti da includere nella propria spesa.
Occorre infatti ricordare che il nostro benessere fisico dipende da uno stile di vita sano, in cui l’alimentazione occupa un ruolo determinante. In particolare, quegli alimenti che si trovano spesso sulle nostre tavole, come la pasta e il pane.
Recentemente un test, condotto in Svizzera dal mensile KTipp, ha rilevato nei campioni di pasta di numerosi marchi commercializzati anche in Italia, la presenza di glifosato.
Il glifosato è l’erbicida più usato al mondo e, secondo quanto riferito dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), è stato classificato come un “probabile cancerogeno”.
C’è da precisare che i test hanno verificato la presenza di questo veleno, al di sotto dei limiti di legge; quindi, teoricamente non dovrebbe rappresentare un pericolo per i consumatori.
Ma occorre invece fare un ragionamento diverso. Noi italiani, secondo i dati Istat, consumiamo 24 kg pro capite all’anno di pasta, e circa 60 kg pro capite di pane, focacce e pizze. In totale gli italiani consumano quasi più di 100 kg all’anno di derivati del grano duro e tenero.
Questo determina un accumulo di sostanze nocive nel nostro organismo, che va ben oltre quelli che sono i limiti imposti di legge.
Ecco perché occorre prestare un’attenzione ancora maggiore alle nostre scelte alimentari, andando a ricercare marchi che realmente producono farine e semole trasformate poi in pasta, pane e altri prodotti, non contaminate da sostanze fitosanitarie e da altri ingredienti “sgraditi”.
Non dimentichiamo che il grano duro canadese, non maturando in modo naturale nei campi, viene trattato con il glifosato che provoca l’essicazione delle piante ancora verdi, lasciando alti residui nella cariosside.
Questo è facilmente provabile prendendo le paste di diversi marchi nazionali, che in etichetta indicano 100% grano italiano. Sottoponendole a delle analisi di laboratorio, è dimostrata la presenza di residui di glifosato. Grano Salus (associazione di agricoltori e consumatori a difesa della salute) denuncia nel suo sito, queste gravi anomalie.
Inoltre, per via del clima umido, il grano canadese, sviluppa pericolose muffe e micotossine. I nostri biologi nutrizionisti hanno evidenziato come le muffe creino nel corpo umano permeabilità intestinale. Questo determina il transito del glutine in zone dell’organismo in cui non dovrebbe arrivare. Combinato con la drastica riduzione della flora batterica intestinale a causa dei residui di glifosato, si spiega il proliferare dei casi di intolleranze alimentari e della celiachia.
C’è da chiedersi perché in Canada, una partita di grano con oltre 700 parti per milione di glifosato, venga mandata agli inceneritori per biomasse, mentre in Europa sia stato fissato un limite per l’alimentazione umana che arriva a ben 1.700 parti per milione. Inoltre, le derrate, dovendo raggiungere destinazioni molto lontane, sono trattate chimicamente in fase di coltivazione e trasporto del cereale.
Le multinazionali hanno bisogno di tantissimo grano, ecco perché cercano territori dove si possano praticare coltivazioni intensive, anche se assolutamente non adatti per una produzione di qualità come il Canada per il grano duro e l’Ucraina per quello tenero.
La Filiera del grano coltivato e trasformato in Sardegna con il marchio Sardo Sole, può vantarsi di praticare un sistema produttivo etico e sostenibile che permette di ottenere prodotti buoni, di alta qualità e soprattutto sani, grazie al caldo sole della nostra isola.